Il secolo di chi osa (3)

Osare non è un’azione solipsistica. Non è ‘Memento audere semper’.
In realtà non conosco esempio migliore della capacità di osare di chi ha ricostruito la civiltà nell’alto medioevo fondandola sulla regola ‘ora et labora’. ‘Era necessario che l’eroico diventasse normale, quotidiano, e che il normale, quotidiano diventasse eroico’ ebbe a dire parlando di San Benedetto papa Wojtyla.
In un certo senso l’intuizione ti attacca alla meta e ti ci attacca per tutta la vita. Il punto è che l’obiezione che non si fa alla meta non la si faccia poi alla strada nei momenti in cui diventa  accidentata o perché dall’inizio ti pare troppo difficile.
Un altro poeta polacco, Cyprian Norwid scrisse ‘la bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere’.
Come è risorta sull’esempio di San Benedetto da Norcia l’Europa!
Che senso aveva fare un abbazia in mezzo alle paludi piene di animali feroci ed esposte alle razzie? Eppure attorno ad esse e ai primi monaci cominciarono a radunarsi persone e gruppi per poter essere protetti e lavorare.
Occorrono tre cose per osare:
– L’intuizione;
– i legami;
– l’offerta della propria vita proporzionata al raggiungimento della meta. Che spesso si prende più di quanto avessimo pianificato. Forse nel nuovo tempo per osare occorre proprio un’ultima disponibilità bambina (oserei dire) a questa ‘svista’ (Adrienne Von Speyr).

 

Ravenna, 2-01-’23