Il cartiglio

Una volta, non ricordo in quale circostanza, regalai a mia madre un quadretto semplice, un cartiglio di metallo appoggiato su una base di legno che deve essere ancora conservato nella casa di famiglia. Sulla piccola “pergamena” era scritta una frase di san Vincenzo de Paoli: “La vraie charité ouvre les bras et ferme les yeux”. Fui sicuramente convinto a regalargliela dal fatto che fosse in francese, lingua che mia madre insegnava a scuola, ma credo che in qualche modo la frase con una sorta di effetto tipico del “sublime” mi abbia attratto (anche se segretamente terrorizzato). Di sicuro, anni dopo, guardando mia madre a distanza, a molta distanza, nei lunghi due anni che la condussero alla morte, intuii che neanche in quei momenti quella frase era adatta: mia madre guardava in faccia il venir meno della sua capacità di parola, guardava in faccia mio padre ogni qualvolta la tirava su di peso dal letto e si incazzava pure –lei- (sant’uomo lui), guardava in faccia il Mistero che si faceva vicino ogni giorno di più; ha guardato in faccia mia moglie il giorno dopo il nostro matrimonio a meno di un mese dalla propria morte consegnandole la cura di me con un breve passaggio di mani e di sguardi (!) che ho colto tutto nella sua rapidità e vigore.
Non mi interessa sottilizzare. Ho in mente anch’io certi abbracci dove stringi forte e chiudi gli occhi e ti senti scaldare il sangue come fosse un Mistero del rosario.
Ma ho utilizzato questa storia e questa immagine per dire che se la carità è affermare l’altro per quello che è e perché c’è, ciò non può prescindere da una corrispondenza. Non si tratta di equivalenza di ciò che si offre, ma che vi sia comunque un’offerta da entrambe le parti (non importa come, non importa quanto, importa che vi sia e quindi che sia percepita una movenza dell’essere, si trattasse anche di una semplice domanda). Sto parlando di un’armonia in cui la volontà e il riverbero della relazione non sono unilaterali.
Per questo credo che nella carità non vi sia una regola: il movimento può essere di sguardi (e rappresentare tutta la bellezza e il limite propri e dell’altro), di parole, di braccia. Come in una relazione amorosa.

Bologna, 6-12-’18