Popolo non plebe

La crisi di sistema e lo scontro istituzionale di questi giorni e di queste ore vedono scalpitare un protagonista sulla scena pubblica, che dalla crisi del 2008 è più povero e sente calpestata quella che avverte come unica possibilità di espressione di una volontà di riscatto, il ricorso alle urne: questo protagonista è il popolo, a volte si parla di popoli, il popolo della rete, il popolo dei territori, il popolo del sud senza lavoro e prospettive, il popolo delle piccole e medie imprese del nord saccheggiate dal fisco e penalizzate dalle normative europee. Il popolo che sta tentando un’integrazione con i migranti che arrivano da oltre sponda e si sente trattato a sussidi.

E’ il popolo, realtà per sua natura creativa e plurale. Realtà impossibile a definirsi, ma che non si può immaginare se non fatta di legami, di famiglie, se non aperta, se non salda, se non in cammino. Le istituzioni tenderanno a scomporsi, a ricomporsi, a irrigidirsi, ad essere rovesciate. E’ comunque difficile prevederne il futuro. Ciò ci impone una responsabilità maggiore verso la nostra storia e verso il nostro futuro in quanto popolo, in quanto popoli nei quali, prima che nelle istituzioni statuali o sovra statuali, si gioca il bene delle persone. L’esperienza dei movimenti popolari dell’America latina, che può essere un’esperienza riproducibile non negli stessi termini in Occidente, è però un punto di riferimento. Quando Francesco dice pan, trabajo y techo, dice qualcosa di molto preciso che interroga il livello di benessere cui siamo abituati, ma soprattutto le modalità per garantire una dignità del vivere. Sempre meno lo Stato potrà garantire sicurezza e tutele. Nemmeno in antistoriche roccaforti chiuse.

Il cosiddetto populismo pare cogliere almeno in superficie tutto ciò e politicamente esprime anche rappresentanti e posizioni dotati di efficacia, ma ancora una volta corre il rischio di appaltare le proprie istanze alla politica, in un novello rapporto plebe-tribuno, che svilisce i tentativi, presenti anche in questi mondi, di vivere ed esemplificare rapporti di comunità. Nella vulgata populista il popolo diventa una caricatura di se stesso, si inveisce nei bar o sui social, ma cosa fare lo si aspetta dall’alto.

Ciò che assicurerà la persona come la corda di una scalata in montagna, sarà la fiducia che nella fedeltà di certi legami sarà custodita. E questa fiducia, questi legami, sempre aperti all’altro, rappresenteranno il punto continuamente generativo di popolo. Da questo rinascimento spirituale, ricomincerà creativamente, già sta ricominciando – si pensi alla sharing economy, all’housing sociale, alle tante forme di economia di comunione – una nuova capacità concreta di solidarietà, una capacità autonoma e una responsabilità condivisa e ordinata di risposta ai bisogni concreti della vita personale e associata.

E’ in queste forme di unità, di comunità, è in questo prendersi cura gli uni degli altri, che vengono coltivati ed espressi, come nei primi ospedali medievali, il riconoscimento della dignità sacra e inviolabile della persona e la consapevolezza di un destino comune e buono che non chiedono altro se non una vita appassionata e costruttiva, in qualunque condizione ci si trovi.

Bologna, 28-05-’18