PERSONA E POPOLO – una riflessione

Ognuno di noi nasce partecipando di una vita, di un flusso che lo precede e dentro cui cresce fino ad acquisire autonomia e capacità di creare a propria volta relazioni stabili e feconde.

L’immagine di questi giorni del piccolo jihadista di due anni armato e (teneramente) minaccioso ci dice subito che questa introduzione alla vita, nel mondo di oggi, può essere contro natura.

Ora però, normalmente, la tradizione  veicola valori che vogliono portare a un’interrogazione positiva del destino e delle vicende umane. Non violenta dunque, ma aperta. In ogni caso questo cammino è fortemente condizionato da un senso di paura e inanità che deriva, in tempi di globalizzazione, da una “radiazione cosmica di fondo” che si è fatta minacciosa, un po’ come i colpi del destino magistralmente musicati da Ludwig van Beethoven. O non ci si pensa o il destino è una minaccia.

Nel rapporto che l’uomo, partendo dalla tradizione e dagli affetti in cui cresce, stabilisce con la realtà, il problema del destino è consciamente o inconsciamente il problema capitale, anche perché sullo sfondo ci sta il tema ineludibile della morte. Che sul destino la persona abbia un’interrogazione aperta e una percezione intuitiva positiva è questione di libertà. Gioca però un ruolo decisivo l’educazione e – appunto- il contesto affettivo.

La questione drammatica è che, avuta un’educazione a porsi in modo aperto il tema del destino – che alcune ideologie religiose invece tendono a chiudere  – fare storia, cioè realizzare la propria libertà, necessita di una riconquista personale e autonoma dei termini del problema. Del destino cioè come suggerimento e invito della realtà. Il destino non è una minaccia, ma una promessa.

Questa verifica, che non può che essere assolutamente libera – nel cristianesimo il Figlio di Dio va in croce per conquistare all’uomo questa libertà – è, appunto, un dramma. L’uomo è chiamato a restituire ciò che ha ricevuto con il dono della vita: in ultima istanza a riscoprire attraverso tutte le circostanze di essere amato e di essere capace di amare.

Dove questa riscoperta può diventare casa ma anche abbattere muri? Dove questa riscoperta può diventare famiglia e unità senza diventare chiusura? Dove questa riscoperta può avere identità e gettare ponti?

In qualcosa che ci coinvolga come un torrente l’acqua e poi l’acqua il fiume. E’ qualcosa simile alla rete, ma non è solo l’amicizia o il seguirsi vicendevolmente nella rete. Sono le comunità, sono le social street, per esempio. E’ dove la persona si riconosce partecipe di un destino, o anche solo accomunato da una circostanza e dalla ricerca del modo migliore per viverla insieme. Come in un concerto dove si vada un po’ impersonalmente, in massa, per il cantante, per un idolo, poi la musica pian piano scaldi i cuori, la pelle, i sogni finché giunga improvvisa una parola, il verso di quella canzone che colpisce nel profondo tutto lo stadio e coinvolge tutti in un solo pensiero. Una parola detta in un certo modo può, anche in una mattina qualunque di lavoro, prendere  sentimenti e pensieri e unire le persone.

E’ il popolo. Realtà impossibile a definirsi, ma che non si può immaginare se non fatta di legami, di famiglie, se non aperta, se non salda, se non in cammino. Le istituzioni tenderanno a scomporsi, a ricomporsi, a irrigidirsi, ad essere rovesciate. E’ comunque difficile prevederne il futuro. Ciò ci impone una responsabilità maggiore verso la nostra storia e verso il nostro futuro in quanto popolo, in quanto popoli nei quali, prima che nelle istituzioni statuali o sovra statuali, si gioca il bene delle persone. L’esperienza dei movimenti popolari dell’America latina, che può essere un’esperienza riproducibile non negli stessi termini in Occidente, è però un punto di riferimento. Quando Francesco dice pan, trabajo y techo, dice qualcosa di molto preciso che interroga il livello di benessere cui siamo abituati. Sempre meno lo Stato potrà garantire sicurezza e tutele. Salvo in antistoriche roccaforti chiuse.

Ciò che assicurerà la persona come la corda di una scalata in montagna, sarà la fiducia che nella fedeltà di certi legami sarà custodita. E questa fiducia, questi legami, sempre aperti all’altro, rappresenteranno il punto continuamente generativo di popolo. Da ciò rinascerà creativamente, già sta rinascendo – si pensi alla sharing economy – una nuova capacità concreta di  solidarietà.

E’ in queste forme di unità, di comunità, è in questo prendersi cura gli uni degli altri, che vengono coltivati ed espressi, come nei primi ospedali medievali, il riconoscimento della dignità sacra e inviolabile della persona e la consapevolezza di un destino comune e buono che non chiede altro se non una vita appassionata e costruttiva, in qualunque condizione ci si trovi.

Questo amore è il segreto semplice che il nostro tempo può ancora svelare, da persona a persona, sotto il frastuono e lo sferragliare delle armi.

Pietro Lorenzetti, Bologna, 10 gennaio 2016