Non c’è identità senza pace

Tutti sembrano già in campagna elettorale per le europee. Eppure nessuno, al di là di coloro che intendono riproporre uno status quo insostenibile, dice che Europa voglia in prospettiva. Quella che conosciamo ha garantito per decenni la pace perché ha comunque rappresentato uno spazio di dialogo e incontro. Ora pare che viga un altro principio, se vuoi la pace mostra i muscoli, alza la voce, metti in chiaro i tuoi interessi che vengono prima di quelli degli altri. Non è un caso: l’attuale costruzione europea, incapace di gestire la globalizzazione, i flussi migratori, la biodiversità economica e sociale ha portato a un impoverimento culturale, sociale ed economico. Un uomo si riconosce in una comunità quando avverte un’identità tra il sentimento dell’io e quello del noi, entrambi scoperti come dono di una storia e di un destino comuni (per chi crede, di una trascendenza). Ora è interessante notare come l’Europa mentre (obtorto collo?) rappresenti tutt’oggi una tutela del nostro patrimonio economico (il 66% degli italiani non vorrebbe uscire dall’euro), essa sia una comunità nella quale la maggior parte delle persone non si riconoscono (almeno dal punto di vista politico). Prima gli italiani. “Si vis pacem para bellum”. Questa posizione rappresenta una tentazione sottile ma pericolosa. Essa riproduce l’errore che vorrebbe curare. Anche qui infatti non si capisce che l’identità non è qualcosa dato aprioristicamente, ma qualcosa che si costruisce nella relazione con gli altri. In tal senso io e noi, italiani ed europei, siamo espressione di un’identità che si scopre come dono cammin facendo. E’ evidente che, se in questo cammino il sentimento che domina la relazione con gli altri è quello di ostilità, di prevaricazione, ciò può illudere di tutelare maggiormente i propri interessi, ma dimentica che il modo migliore di promuoverli è stabilire invece un’interessenza con i propri interlocutori, per cui occorrono capacità di dialogo, pazienza e tempi adeguati.
Se i sovranisti non hanno intenzione di uscire dall’euro (la qual cosa sarebbe lo sfascio) dicano che Europa politica vogliono e si candidino a guidarla con un programma chiaro e realistico di priorità, alleanze ed equilibri.
A chi dice prima gli italiani, prima gli ungheresi o magari prima i catalani chiediamo, incalzandoli, come pensate di ristrutturare l’Europa, sulla base di egoismi nazionali, o c’è dell’altro? Come garantirete una ri-costruzione pacifica?

Pietro Lorenzetti, Bologna, 31-10-’18