‘Lanterne nella notte d’Europa’ – da ‘La versione di Banfi’

È difficile commentare la notizia sconvolgente di un bambino siriano di neanche due anni morto al confine tra Polonia e Bielorussia. È stato raccolto ieri dai volontari di una Ong che hanno ritrovato il piccolo, ormai senza vita, insieme ai suoi genitori, entrambi feriti, che cercavano riparo dal freddo sotto un cumulo di foglie, nella foresta a ridosso del confine con la Polonia. È probabilmente la tredicesima vittima fra i migranti di questi giorni vergognosi e terribili per tutti gli europei. La tragedia fa riflettere di come sia possibile, ancora oggi, cancellare l’umanità dei nostri simili. Alla ricerca di una possibile speranza, mi è tornato alla mente il finale del capitolo “I fatti dell’estate” del libro di Primo Levi Se questo è un uomo, il diario della sua prigionia ad Auschwitz. In esso Levi racconta uno dei motivi della sua sopravvivenza: l’incontro e l’amicizia con un altro uomo, che si chiamava Lorenzo.

«La storia della mia relazione con Lorenzo», scrive Levi, «è insieme lunga e breve, piana ed enigmatica; essa è una storia di un tempo e di una condizione ormai cancellati da ogni realtà presente, e perciò non credo che potrà essere compresa altrimenti di come si comprendono oggi i fatti della leggenda e della storia più remota. In termini concreti, essa si riduce a poca cosa: un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una sua maglia piena di toppe; scrisse per me in Italia una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare il bene per un compenso. (…) Io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, col suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi. I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l’hanno sepolta, sotto l’offesa subita o inflitta altrui. (…)  Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo».

Ottant’anni dopo Auschwitz nella Polonia di oggi si torna ad un “mondo di negazione” dell’umanità. Anche i migranti siriani, iracheni, afghani che affollano i boschi a ridosso del filo spinato europeo non sono uomini. Né per il governo e la polizia polacchi, né per il dittatore Lukashenko che li usa come strumento di ricatto. E tuttavia, anche là ci sono dei Lorenzo. Degli uomini che coltivano una “remota possibilità di bene” nell’inferno dell’egoismo e della morte. Uomini che fanno del bene, volontari che rischiano di essere colpiti perché per i loro Stati, Polonia e Bielorussia, commettono “reati” aiutando i migranti. Le Ong polacche accendono “lanterne verdi” la sera per attirare i migranti e offrire loro un aiuto. Sono le luci della speranza per i profughi nella notte più buia dell’Europa. Una speranza che è anche la nostra. Accendiamo la nostra lanterna verde sui social, con gli hashtag  #greenlight e #lanterneverdi e taggando su Twitter @luigidimaio @Palazzo_ Chigi @EUCouncil @EU_Commission. (19/11/’21)