In viaggio dopo la crisi

Sia le crisi, in senso personale e sociale, sia il mettersi in viaggio, come esperienza esistenziale o caratterizzante una certa temperie storica, presentano rischi e opportunità. Ciò è risaputo.
Si fa però fatica a intravvedere quali siano le opportunità offerte dalla crisi epocale iniziata nel 2008 e in Europa più acutamente nel 2011, che oggi, aldilà dei timidi segnali di ripresa basati su indicatori economici parziali, lascia una serie di problemi strutturali sul tappeto a cominciare dalla disoccupazione e dalle prospettive per i giovani.
Nonostante le iniezioni di denaro della Bce, i soldi per affrontare questa congiuntura, l’Italia non li ha a causa del debito pubblico iperbolico accumulato in decenni di politica clientelare e irresponsabile.
Quando non si intravvedono le opportunità nuove che una crisi apre è fatica identificare delle vie d’uscita, un percorso possibile. Si rimane come paralizzati, si discute, si dibatte e ci si dibatte senza costrutto, come spesso in questo periodo avviene sui social o nei talk show televisivi. E’ difficile dunque riprendere il cammino, mettersi in viaggio.
Invece di urlare, bisogna fare un po’ come gli indiani, cogliere i segnali deboli, sapere ascoltare.
Un primo segnale, che è debole in quanto difficile da cogliere sotto la caciara dei suoi stessi vessilliferi, sta nella pars costruens, positiva, dell’ondata di sovranismo imperante. Da un lato si tratta di bilanciare un’ideologia e una pratica buonista della globalizzazione che ha prodotto disastri, anche in questo caso perché non se ne seppe vedere il valore che avrebbe avuto se colta come opportunità.
Dall’altro lato, la sovranità trattiene quegli elementi di sicurezza e di identità che consentono di avere scambi commerciali, nonché collaborazioni culturali e politiche, nell’ottica di un mondo inevitabilmente globalizzato, in modo equilibrato.
Un secondo segnale debole è dato dalla generazione dei più o meno ventenni di oggi (e ovviamente anche dei più giovani): essi si sono formati nel periodo delle scuole elementari e medie respirando a scuola e in famiglia il sentimento della crisi, l’incertezza su cose che prima venivano date per scontate: ciò li ha resi più maturi e forti dei giovani di qualche anno prima (tagliando con l’accetta).
Un terzo segnale debole è offerto dalle molte forme di economia di condivisione che vedono protagonisti giovani e meno giovani, laureati e non, come nel caso delle svariate piccole e medie imprese destinate al fallimento e invece rilevate dai dipendenti a rischio di licenziamento e da questi poi gestite in forma cooperativa.  Senso della sicurezza e dell’identità dei popoli e delle nazioni, insostituibile funzione degli Stati per il bene comune, rinnovate e nuove collaborazioni geopolitiche, valorizzazione del senso di responsabilità e nuove visioni di cui i millennials sono portatori, economia di condivisione non come mantra ideologico, ma come immissione nel sistema capitalistico di germi di novità radicale. Sono solo alcuni dei segnali deboli positivi sotto gli occhi di tutti. Tanti altri se ne possono trovare scrutando la terra e il cielo dell’esperienza, per esempio nella sfida posta dalle nuove tecnologie e dalla robotica.
Ciò che accomuna questi squarci di realtà è l’aver dovuto fare violentemente i conti con l’esperienza del limite, praticamente sbatterci contro. Forse il segreto che possiamo ascoltare nelle nostre notti insonni sta proprio nell’accettare il limite come amico del desiderio. Perchè può rilanciarlo, può riformularlo, renderlo nuovamente creativo, a condizione che non si sia soli.
E’ una necessità per ciascuno, per vedere dove andare e rimettersi in viaggio.

Pietro Lorenzetti
Bologna, 11-08-’18