La forza per che cosa?

Si dice che la cifra della politica e dei governi populisti sia la forza.
Non solo nel senso di un atteggiamento ‘muscolare’ nell’affrontare i problemi, ma in quello più nobile di trasmettere fortezza, che è una virtù cristiana, e protezione al popolo. L’origine di questo carisma politico consisterebbe nella mancanza di paura del nemico, di paura del contesto incerto, del futuro e del limite.
Non voglio attribuire un’attitudine e una cultura da superuomini, sia che si tratti di pretesa superiorità morale o di spirito patriottico, a tali leader, ma indubbiamente la stessa definizione che qualcuno ha coniato di cattivismo la dice lunga sulla loro assenza di scrupoli e sulla loro bassa soglia di senso del limite.
E’ stato osservato da Mauro Magatti che il ripristino di un legame tra la politica e l’evidenza di una tutela della sicurezza del popolo è qualcosa di cui tener conto e da cui non si potrà tornare indietro. Lo stesso sociologo ha altrove notato che però una siffatta politica è solo apparentemente rassicurante in quanto essa trasmette bene le sue intenzioni, ma non può allo stesso modo controllare il corso degli eventi che contribuisce a innescare.
Ora è chiaro che una buona dose di politica ‘movimentosta’ per dirla con Davide Rondoni servisse: troppa incertezza, troppa insicurezza, troppo buonismo, troppe sottovalutazioni quando non svendite degli interessi del nostro popolo, troppe speculazioni su di esso, troppo potere delle tecnocrazie europee e italiane.
Arriviamo non primi a questa stagione, ma vi arriviamo mettendo al governo i paladini di un populismo che nelle nazioni dell’Europa occidentale non aveva ancora sfondato.
Ciò significa che gli italiani siano più propensi a sostenere ‘l’uomo forte’? Ha scritto Antonio Polito dalle colonne del Corriere della Sera che negli italiani vi è in realtà un profondo spirito democratico che ama decidere i suoi governanti nelle urne, ma il giorno dopo è pronto a riprendere la discussione con netto spirito critico sulle decisioni adottate dalla maggioranza politica, che di buon grado vede sottoposta ai bilanciamenti posti dalle altre Istituzioni di garanzia previste dalla Costituzione.
Vien da domandarsi se persone come Matteo Salvini, cui i sondaggi attribuiscono un crescente consenso, sapranno, non solo ora, ma in presenza di un’eventuale maggioranza pressoché assoluta al loro partito, rispettare ancora le citate prerogative costituzionali.
Io non penso che si possa contribuire a risolvere positivamente tale preoccupazione pretendendo, da lui e da altri leader spericolati, una maggior dose di quel senso del limite che nel loro stesso disegno in questo momento devono, e devono saper dimostrare, di superare e talvolta infrangere.
Ciò che si può pretendere è piuttosto una prospettiva strategica: che si dica chiaramente dove si vuol portare l’Italia e, per quel che dipende da essi, l’Europa, oltre questa contingente fase necessariamente difensiva e di tutela in senso sovranista.
La realtà si occuperà di dare lezioni di realismo, ma oltre il realismo occorrono gli ideali, occorre dire l’ideale di Paese e di collaborazione tra Paesi che si persegue, che è l’altro ingrediente della politica, come il lievito per il pane. L’ideale di convivenza politica a cui si vuole portare l’Italia va dichiarato subito e condiviso con il popolo. Popolo che non è giusto trattare da isterico tifoso di questo o quel provvedimento propagandistico, ma va reso protagonista di un grande afflato di ricostruzione. A meno che non si dica che l’ideale è salvare il salvabile, soprattutto la propria irresistibile ascesa politica.

Marina Romea, 14-07-’18